Sussidi per le famiglie e congedi parentali fino a giugno. È quanto suggerisce Olimpia Tarzia, membro storico del Movimento per la Vita Italiano, fondatrice e presidente del Movimento PER, con riferimento alla fase due dell’emergenza Covid-19. Intervistata da Pro Vita & Famiglia, la bioeticista ha ribadito che, nel passaggio storico che stiamo vivendo, un principio rimane inderogabile: non ha senso parlare di giustizia e libertà, se, per primo, non è tutelato il diritto alla vita.
Dottoressa Tarzia, l’emergenza Covid-19 coinvolge ogni aspetto della nostra vita: su quali punti il Movimento PER si sta soffermando di più?
«Sono indubbiamente in gioco una pluralità di temi, dalla difesa della vita alla libertà educativa e religiosa. Parto comunque da una premessa: sul piano giuridico, ci troviamo in una situazione profondamente caotica e contraddittoria. Abbiamo assistito, ad esempio, all’abrogazione di decreti legge con norme che erano state approvate con un decreto legge precedente, senza che fosse stato convertito in legge. Dal punto di vista del diritto si sta demolendo la gerarchia delle fonti. Atti amministrativi sovrastano leggi che sono attualmente in vigore e molte di queste iniziative sono state prese senza passare per il Parlamento: questo è già un dato che fa molto pensare. Non ritengo che, in questo momento, si debbano convocare elezioni anticipate e il governo debba andare a casa. Il senso di responsabilità suggerisce di non sottoporre i cittadini e le famiglie, già stremati, ad una campagna elettorale. Tuttavia, non possiamo nemmeno tenere conto delle prese di posizione e dei comportamenti del nostro esecutivo».
Quali sono gli aspetti dell’emergenza che vanno a toccare più direttamente i principi non negoziabili?
«Quanto al diritto alla vita, mi viene in mente quanti approfittano della situazione per incoraggiare l’aborto chimico da casa attraverso la Ru486. Penso poi agli anziani fragili e alla questione dell’allocazione delle risorse sanitarie, tema centrale anche in bioetica. Il coronavirus ha portato alla luce dei criteri di priorità con cui selezionare i pazienti per la terapia intensiva, sospendendo la ventilazione per chi non ha prospettive di vita, anche a prescindere dal loro consenso, senza alcun parametro di natura etica, giuridica o deontologica. Siamo di fronte a un approccio utilitaristico. Vengono sospesi il diritto alla salute, che è costituzionalmente difeso all’articolo 32 della Costituzione, e il diritto all’autodeterminazione. La gestione dell’emergenza non può mai cancellare i diritti fondamentali che sono riconosciuti e tutelati dalla Costituzione».
Un aspetto problematico molto discusso in questi giorni è: viene prima la difesa della vita o la libertà?
«L’abbiamo detto molte volte: non possono esserci né libertà, né giustizia se non c’è il diritto alla vita. Anche per questo, ritengo che le app per tracciare i contagi siano necessarie, sebbene comportino il problema della difesa dei dati personali e dell’anonimato dei contagiati. C’è però un altro aspetto ed è legato alla discriminazione che procurerebbero: se è vero che solo il 70% della popolazione è in possesso di uno smartphone e si tratta per lo più di persone giovani e con alti livelli di reddito e istruzione, allora è chiaro quanto l’uso di questo strumento, che all’apparenza comporta solo un problema tecnico e pratico, susciti ulteriori interrogativi».
Il lockdown è una misura che può comportare ripercussioni psicologiche, specie per chi è abituato a stare poco in casa, come pure per chi vive in abitazioni poco spaziose o per chi ha famiglie numerose. Che fare per venire incontro a queste persone?
«Questo tipo di disagi sono un incentivo al rafforzamento della rete territoriale dei consultori familiari. Il consultorio è diventato una struttura dedicata ormai quasi esclusivamente all’aborto, mentre tutte le altre funzioni, a partire dal sostegno psicologico alle famiglie, sono passate in secondo piano. Va quindi profondamente ripensato questo strumento».
Che misure mettere in campo, invece, per le famiglie che, oltre ad essere gravate dalla recessione conseguente alla pandemia, trovano difficoltà nell’accudimento dei figli che ancora non possono tornare a scuola?
«Abbiamo più volte detto che, se la società italiana regge, è perché le famiglie sono solide. Se il popolo italiano sta reggendo all’incubo Covid, quindi, è grazie alla famiglia. La famiglia, però, è sempre stata trascurata da tutti i governi di qualunque colore politico: è giunto il momento di rimetterla al centro».
In che modo?
«Innanzitutto, con sussidi indipendenti dal reddito. Bisognerebbe stabilire una quota per ogni figlio fino ai 15 anni e fare in modo che quei soldi arrivino subito alle famiglie. Con la riapertura delle attività, molti genitori continueranno a fare smart working ma altri dovranno per forza lavorare fuori casa. Si potrebbe proporre un buono per la baby sitter ma è anche vero che molte famiglie preferiranno evitarla per timore di infezioni. Una strada utile potrebbe essere l’allungamento dei congedi parentali almeno fino alla chiusura dell’anno scolastico, con sussidi pari all’80% della retribuzione».
Per quanto riguarda la scuola, ritiene opportuno si prosegua con la didattica a distanza?
«In questo momento la didattica a distanza è necessaria: avendo insegnato per anni, so bene che per i ragazzi è più difficile mantenere la distanza sociale, la ricerca del contatto fisico è qualcosa di connaturato in loro. Ai minori va garantito il diritto all’istruzione ma è importante non vederli solo in chiave economica o come un problema. Questo momento di allontanamento dalla didattica frontale non va visto come un vuoto ma come una realtà che può essere utile per insegnare molte cose ai nostri figli. C’è poi il dramma delle scuole paritarie, molte delle quali saranno costrette a chiudere. Si tratta quindi di garantire il diritto alla libertà educativa ma c’è di più: in autunno le scuole statali si ritroveranno con un numero maggiore di allievi, quindi si porrà il problema di come garantire la distanza tra i banchi, se proseguire con la didattica a distanza, ecc.».
Ultimo ma non ultimo: accennava alla libertà religiosa. Che suggerimenti ha per un ritorno alle funzioni religiose?
«L’ultimo DPCM fissa il massimo dei partecipanti ai funerali. Sorvolando sulla definizione di “congiunti”, è chiaro che si pone un problema: con che criterio si decide chi può partecipare alle esequie? Quanto alle messe in generale, la disattenzione è grave. Si è detto quando riapriranno i centri massaggi e i parrucchieri ma non quando riprenderanno le celebrazioni liturgiche. Sappiamo che la CEI ha parlato di “ferita incomprensibile e ingiustificabile”, mentre il Papa ha richiamato alla “prudenza” e all’“obbedienza”. È evidente che il suo richiamo sia alla responsabilità di ognuno: se il cattolico, andando a messa, trasgredisse le regole, si metterebbe contro la difesa della vita… Quello che ancora manca è un protocollo, come quelli elaborati per altre attività, in modo da poter tutelare la libertà religiosa nel rispetto della vita di ciascuno. Le soluzioni sarebbero tante ma il dramma è che, nella scala delle priorità, la questione delle messe è stata posta all’ultimo posto».