I grandi cambiamenti medico-scientifici e socio-antropologici rendono sempre più complesso l’approccio terapeutico al fine vita. Tutto ciò, però, non intacca minimamente i principi di sempre: l’eutanasia è sempre e comunque da condannare, mentre l’accanimento terapeutico è da evitare e le cure palliative sono da incoraggiare. A ribadirlo è una dichiarazione congiunta delle Religioni Monoteistiche Abramitiche, proposta dal Rabbino Avraham Steinberg e sottoposta da papa Francesco alla Pontificia Accademia per la Vita che ha presentato oggi il documento.
La dichiarazione si apre con un preambolo in cui viene preso atto di una serie di oggettivi ostacoli alla promozione di una inequivocabile cultura della vita. Si parte dall’assunto che i «grandi progressi scientifico-tecnologici» rendono possibile il «prolungamento della vita in situazioni e modalità finora impensabili» ma, al tempo stesso, «la prolungata sopravvivenza è spesso accompagnata da sofferenza e dolore a causa di disfunzioni organiche, mentali ed emotive». È inoltre cambiato il rapporto medico-paziente: da un «approccio paternalistico» si è passati a «una maggior autonomia».
Altri fattori di cui tener conto: sempre più persone muoiono in ospedali o cliniche, spesso «attaccati a macchinari, circondati da persone indaffarate e poco familiari» e non più, come in passato, in casa, «circondate dai loro cari in un ambiente conosciuto e abituale». C’è poi un «maggiore coinvolgimento di diversi professionisti nel trattamento del paziente in fase terminale nonché il coinvolgimento dei media, del sistema giudiziario e dell’opinione pubblica in generale»: fenomeni che generano «prospettive e opinioni differenti e talvolta tra loro contrastanti su cosa dovrebbe o non dovrebbe esser fatto per il paziente in fase terminale». Ultimo ma non ultimo: si riscontra «la crescente carenza di risorse dovuta alle opzioni diagnostiche e terapeutiche costose».
Alla luce di questa crescente complessità, le religioni monoteistiche abramitiche hanno redatto la loro dichiarazione con l’intento di contribuire a «migliorare la capacità degli operatori sanitari nel comprendere meglio, rispettare, guidare, aiutare e confortare il credente e la sua famiglia nel momento del fine-vita. Rispettare i valori religiosi o culturali del paziente – si legge nella dichiarazione – non è solo un problema religioso ma è un requisito etico per il personale negli ospedali e nelle altre strutture che ospitano anche pazienti di diverse fedi».
Quando un paziente si ritrova nell’imminenza inevitabile della morte, l’assistenza nei suoi confronti «rappresenta da un lato un modo di aver cura del dono divino della vita e dall’altro è segno della responsabilità umana e etica nei confronti della persona sofferente e in fin di vita». Sono dunque richieste nei confronti del morente «compassione, empatia e professionalità» in particolare da parte di quanti «hanno la responsabilità del benessere psico-sociologico ed emotivo del paziente».
La dichiarazione interreligiosa ribadisce la contrarietà all’accanimento terapeutico. Tutti i trattamenti tecnico-medici sono giustificati solo «nei termini del possibile aiuto che essi possono apportare» e vanno rifiutati quando il loro unico risultato è «prolungare una vita precaria, gravosa, sofferente». Ciò che invece non dovrebbe mai mancare sono tutti gli sforzi per «sollievo, alleviare efficacemente il dolore, dare compagnia e assistenza emotiva e spirituale al paziente e alla sua famiglia in preparazione alla morte».
Le religioni monoteistiche abramitiche si oppongono «ad ogni forma di eutanasia – che è un atto diretto deliberato e intenzionale di prendere la vita – cosi come al suicidio medicalmente assistito che è un diretto, deliberato ed intenzionale supporto al suicidarsi – in quanto sono atti completamente in contraddizione con il valore della vita umana e perciò di conseguenza sono azioni sbagliate dal punto di vista sia morale sia religioso e dovrebbero essere vietate senza eccezioni». Secondo la dichiarazione, «le credenze personali sulla vita e sulla morte rientrano sicuramente nella categoria dell'obiezione di coscienza che dovrebbe essere universalmente rispettata».
La società tutta dovrà assicurarsi che il «desiderio del paziente di non essere un onere dal punto di vista finanziario, non lo induca a scegliere la morte piuttosto che voler ricevere la cura ed il supporto che potrebbero consentirgli di vivere il tempo che gli resta nel conforto e nella tranquillità».
Il documento interreligioso ribadisce infine la necessità per il paziente terminale di «ricevere la migliore e più completa assistenza palliativa, possibile: fisica, emotiva, sociale, religiosa e spirituale». Le cure palliative, dunque, vanno incoraggiate alla luce dei «grandi progressi» da esse compiuti.
In conclusione, le religioni abramitiche si impegnano «affinché il desiderio dei pazienti di non essere un peso non ispiri loro la sensazione di essere inutili e la conseguente incoscienza del valore e della dignità della loro vita, che merita di essere curata e sostenuta fino alla sua fine naturale». A livello pubblico e istituzionale, le religioni si impegneranno a coinvolgere le comunità «sulle questioni della bioetica relative al paziente in fase terminale», chiedendo ai politici di diffondere e promuovere i loro principi sul fine vita «per fornire la migliore assistenza ai pazienti morenti e alle loro famiglie che aderiscono alle norme religiose e alle prove dei rispettivi religiosi tradizioni».
di Luca Marcolivio