In occasione della Giornata Mondiale della sindrome di down, Pro Vita & Famiglia ha raccolto la testimonianza del papà di una splendida bambina di nome Michelle. Emanuele Spezzacatena ha raccontato la bellezza di quella che all’inizio è apparsa come una sfida ma poi si è rivelata un dono grandioso.
In questi ultimi anni in alcuni Paesi è in atto un vero e proprio genocidio nei confronti delle persone con sindrome di Down: solo in Norvegia il 65 % dei bambini viene abortito, il 90 % in Gran Bretagna, il 95 % in Spagna ed addirittura il 100 % in Islanda. Ciò è dovuto anche al fatto che poco si consultano i genitori di questi bambini che parlino della bellezza della loro esperienza?
«E’ molto probabile, spesso la voce di chi parla viene anche smorzata. Questa è una tendenza della comunità scientifica che in genere accompagna la famiglia verso l’aborto, un approccio da cui le famiglie vengono spaventate. In quanto se i genitori non hanno un credo fermo e stabile tendono a cedere. Nel nostro caso, invece, essendo dei credenti, non abbiamo nemmeno valutato la possibilità dell’aborto e al momento della diagnosi non avevamo dubbi. Invece, quando siamo stati dal medico, dopo l’amniocentesi, ci ha guardati sbalorditi, di fronte alla nostra decisione, continuando a ripeterci se fossimo veramente consapevoli di ciò a cui andavamo incontro. In generale c’è la tendenza, tra i medici a consigliare l’aborto e molti assecondano la spinta della comunità scientifica. Io invece approfitto spesso dei social per mostrare la positività e la gioia di avere una bambina down, come nel nostro caso»
Una notizia fresca fa bene sperare a riguardo: i legislatori del West Virginia hanno approvato una misura che vieta di praticare l'aborto sui bambini con sindrome di Down, in nome di una vera non discriminazione. Nota che si stanno facendo passi avanti in questo senso?
«C’è da dire che negli Stati Uniti c’è una sensibilità diversa nei confronti della sindrome di down. La prendo come una bella notizia anche se la vita va tutelata a prescindere. Comunque sia, ben vengano queste iniziative. Di passi avanti ne sono stati fatti perché c’è una lobby positiva di associazioni come la vostra che hanno fatto sentire la loro voce. La serenità con cui abbiamo accolto la nostra Michelle, è dipeso molto da quello che ho ricevuto dal mondo anglosassone: mi sono andato a leggere testimonianze e ho visto video su youtube. Ho scoperto che lì c’è una cultura non solo della vita, ma della vita con diversità. Ci sono addirittura famiglie che hanno adottato di proposito bambini con disabilità e hanno dedicato tempo e denaro a questo scopo».
Ci sono degli stereotipi o dei pregiudizi con cui, come genitore si è scontrato?
«Pregiudizi non da parte dei genitori, ma da parte dei figli che non sono messi a conoscenza di questo aspetto. Faccio un esempio: la mia bambina, come la maggior parte dei bambini down, sono molto socievoli e abbracciano spontaneamente i bambini per strada. Capita che gli altri bambini, dall’altra parte non siano pronti a questa diversità e rimangano disorientati. Se i genitori non spiegano questa caratteristica, tendono ad allontanare il proprio figlio, per non esporre il bambino “sano” al bambino “diverso”»
Ci parli della vita con Michelle?
«Per noi, Michelle, è stato il dono più bello che abbiamo ricevuto come famiglia, all’inizio ha comportato sfide come è normale che sia. Io ho avuto la percezione interiore che sarebbe stato all’inizio un viaggio con delle difficoltà, ma poi si sarebbe rivelato un cammino bellissimo e questo è confermato in ogni giorno della mia vita. La mia bambina è la cosa più bella che ci poteva capitare e oggi non saprei come fare senza di lei».