Questo novembre si è aperto con una notizia dall’inaspettato esito per quanto riguarda la presentazione del sesto rapporto annuale della Commissione del Québec, durante l’Assemblea nazionale, sul suicidio assistito. Il rapporto fa riferimento al periodo che va dal 1 aprile 2020 al 31 marzo 2021.
In esso si legge che sono stati 2426 i decessi per eutanasia, in aumento del 37% rispetto all'anno precedente, pari ad un aumento del 3.3 % dei decessi totali
In Québec è previsto che i medici segnalino tutti gli interventi eutanasici compiuti e invece, è emerso che il numero di decessi per eutanasia segnalati dai medici è risultato sempre inferiore a quello segnalato dagli ospedali, dalle istituzioni e dal Collegio dei medici del Québec. La Commissione sulle cure di fine vita non riesce a spiegarsi il perché di questa assurda discrepanza.
I dati riguardano ben 131 persone le morti, dunque, non sarebbero state correttamente segnalate dai medici che le hanno provocate. Inoltre, è venuta fuori un’altra stranezza: in tre casi il modulo di domanda per l’accesso all’eutanasia è stato controfirmato da una persona che non lavorava nel campo dei servizi sanitari. In due casi, le persone avevano la tessera sanitaria scaduta e, in un caso, il medico non si è nemmeno preoccupato di approfondire e verificare che persistesse davvero il desiderio di morire al momento della somministrazione dell’eutanasia.
Addirittura è emerso persino un caso in cui un paziente non avrebbe potuto nemmeno fare ricorso all’eutanasia, perché la sua situazione non soddisfaceva il criterio di ammissibilità. Nel caso specifico, la Commissione aveva stabilito che la sua quadriparesi post-traumatica (debolezza degli arti causata da un infortunio) costituisce una disabilità piuttosto che una "malattia grave e incurabile".
Insomma, una serie di violazioni che dimostrano come, una volta legalizzata la possibilità di accedere al suicidio assistito, si può innescare un meccanismo inesorabile che permette di passare dal cosiddetto “diritto di morire”, al dovere di morire, perché questo è quello che avviene nella testa di una persona già indebolita dalla sofferenza, fisica o psichica che sia e che spesso pensa di farla finita.
La stessa mentalità eutanasica rischia inoltre, come si è visto in questo caso, di crearsi nel medico, che non si preoccupa più di svolgere la funzione vera legata al suo lavoro, cioè quella di curare il malato, ma diventa una sorta di “dottor morte”. Insomma, dalla presunta intenzione di porre fine al dolore, si passa ad un’agghiacciante familiarità nell’ infliggere la morte che dimostra che, una volta che si eliminano i paletti morali più importanti, la diga crolla inesorabilmente.